Articolo tratto dal blog della Dott.ssa Bellwald

“Partorirai con dolore“, “porterai la tua croce“… il concetto di dolore associato alla vita è talmente ben radicato nella nostra mente da non lasciarci molte altre possibilità di ragionamento. Alla trasmissione di Pronto Dottore dedicata al dolore andata in onda su TeleTicino il 2 febbraio 2019 gli intervistatori hanno chiesto alla Dott.ssa Catherine Bellwald:

“E’ possibile abituarsi al dolore?”

Forse la domanda giusta non è tanto se gli individui possano abituarsi o meno al dolore ma se in una società evoluta abbia senso abituarsi e quindi vivere nel dolore! La medicina fino agli inizi del secolo considerava molte forme di dolore cronico come secondario a disturbi di natura francamente psichiatrica. Questo perché non si capiva come, in assenza di un tessuto danneggiato, ci potesse essere dolore; non eravamo in grado di capirne il meccanismo sottostante.

Più recentemente abbiamo compreso che il dolore cronico è complesso e sostenuto da molti aspetti neurofisiologici che lo alimentano generando un circuito chiuso che si autoalimenta. Infiammazione e chimica dell’infiammazione, trasmissione del dolore amplificata, aspetti bioumorali legati al network ormonale, secrezioni di sostanze quali le encefalokine, eccitazione del sistema parasimpatico, sono davvero tantissimi gli aspetti che oggi si tengono in considerazione.

Fino a agli anni 70-80 era comune sentire dire dai medici ai pazienti “se lo deve tenere“. Mi ricordo molto bene come all’età di 11 anni mi veniva spiegato che avevo ereditato l’emicrania della nonna e della mamma, ma avevo ereditato soprattutto l’idea di dovermici abituare. Avevo ereditato la cultura del subire il dolore. Questo perché si conoscevano i danni dell’abuso di farmaci, quante emorragie gastriche da aspirina e da fans avevamo visto in precedenza. Ecco che sono iniziati a comparire farmaci diversi, analgesici puri, compresi gli oppiacei (ancora poco usati in Europa), farmaci che lavorano sulla trasmissione del dolore, farmaci antidepressivi e ansiolitici e farmaci gastroprotettivi. Insomma… un modo completamente differente di trattare il dolore evitando di fare assumere dosaggi estremi di una singola sostanza.

Oggi l’OMS ha dato al dolore cronico non oncologico (questo è il suo nome ufficiale), una connotazione di patologia vera e propria indipendente dalla presenza di una patologia sottostante, ne ha rivelato l’importanza numerica mondiale, rivelando che mediamente ne soffrirebbe 1 paziente su 5. La cosa però più rilevante dell’indagine statistica, che ha comunque sempre i suoi limiti, è che un numero ancora molto elevato di pazienti non si considera sufficientemente curato.

Sono nate organizzazioni no-profit, team di psicologici, fisioterapisti e medici, ma di agopuntura si parla ancora troppo poco.

Una frase del mio maestro Richard Tan era:

non usare l’agopuntura per trattare il dolore è come non usare la scopa per pulire il pavimento

La scopa è certamente antiquata ma, come tutti i tipi di agopuntura, è semplice, di rapida efficacia e a basso costo. Non servono apparecchi costosi, ambienti sterili ne sostanze chimiche particolari. Il trattamento può essere eseguito in tutte le posizioni e in molti casi non prevede neanche che il pazienti si spogli. Ma la cosa più straordinaria di tutte è che se il trattamento è bene eseguito l’efficacia è evidenziabile durante la seduta stessa; certo, sul problema cronico, esattamente come per una pastiglia o una puntura, l’effetto non è durevole ma transitorio e tende progressivamente a scemare fino al trattamento successivo. Per questo motivo la frequenza dei trattamenti è fondamentale soprattutto all’inizio e nei casi di elevato dolore. Ma col passare del tempo, l’azione diventa sempre più a lunga durata e si può arrivare ad una terapia di mantenimento con appuntamenti anche solo mensili.

L’agopuntura ci consente di ridurre il dosaggio di farmaci necessari per controllare il dolore, attraverso la secrezione di sostanze oppioidi naturali, migliora il metabolismo dei farmaci attraverso un sostegno della funzionalità sia epatica che renale. Riduce la stitichezza, la nausea e l’aumento di peso corporeo conosciuti come i disturbi collaterali più comuni e ovviamente poco graditi dal paziente.

In ambito chirurgico l’agopuntura migliora il microcircolo nell’area dell’intervento e consente un recupero funzionale accelerato della parte operata, una corretta cicatrizzazione, una riduzione dell’edema e in ultimo (non per importanza) riduce i rischi di lesioni algodistrofiche e di sindromi dolorose anche gravi come la spalla congelata (la temuta capsulite adesiva) per fare solo un esempio semplice anche se poco conosciuto.

Per trattare il dolore l’agopuntura è a tutti gli effetti una reale medicina complementare nel senso che si presta a completare l’azione terapeutica considerata come la più utile per il benessere del paziente."


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